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LE INTERVISTE:
ROBERTO RABACHINO INTERVISTA ANGELO GAJA
Autore: Roberto Rabachino www.rabachino.com
Testata: Il Sommelier www.fisar.com
Foto: Oliviero Toscani
È difficile per un piemontese come me pensare di andare ad
intervistare in esclusiva Angelo Gaja in terra di Toscana.
In una calda giornata di fine estate arrivavo a Cà Marcanda in
Castagneto Carducci, prima di Bolgheri, ma ancora in provincia
di Livorno, nella Toscana enologica che conta.
Il portone d’ingresso porta ai lati la scritta in bronzo indicante
il nome dell’azienda. La vista passa in mezzo alle sbarre del
cancello automatico e, incanalata da un vialetto tracciato da
una siepe fatta da salvia e rosmarino, si definisce in un lastricato
di pietre in continuità con la facciata della struttura misurata
a lato da una composizione informe dall’aspetto ferroso.
Suono ed ad accogliermi ecco la brava Valentina Montanari - factotum
dell’azienda - che mi spiega i perché di quei particolari esterni
della tenuta. Particolari inevitabilmente curiosi dove il ferro
arrugginito - voluto dal grande architetto astigiano Giovanni
Bo - regnano in una sconvolgente logica. Valentina mi guida in
questa analisi architettonica, preoccupandosi di farmi notare
che qui, a Cà Marcanda, si è voluto costruire una cantina senza
rovinare il paesaggio "si è cercato di nascondere la
cantina nella natura, per evitare che si vedesse qualsiasi particolare
che potesse disturbare l’armonia del paesaggio. Anche le pietre
- prima citate - sono tutte state trovate durante uno scavo, tagliate
e messe a copertura dei muri esterni per avere un effetto più
naturale e per mimetizzare la cantina nella natura, piuttosto
che farla vedere; mimetizzarla al punto di ricoprirla di terra
per poi piantarci sopra più di 300 ulivi, simbolo dell’agroalimentare
toscano insieme alla vite.” Alle ore 14,30, puntuale come da
appuntamento, ecco arrivare il grande Angelo Gaja. Un saluto cordiale
ed eccomi affascinato nell’ascolto di questo grande uomo del vino.
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L'esterno di Cà Marcanda - Foto O. Toscani
Dottor Gaja perché questa struttura, inusuale per un azienda
vitivinicola?
Per far capire bene, mi permetta di cominciare da lontano.
Abbiamo cominciato a lavorare con l’Architetto Bo – ideatore di
questa struttura - molti anni fa in Piemonte perché a Barbaresco
avevamo bisogno di un ampliamento della cantina. Avevamo parlato
con tanti architetti, tra cui uno di Torino, ma non era nato mai
un feeling, non perché non fossero bravi loro, ero forse io ancora
non preparato. Abbiamo così chiamato l’architetto Bo che mi era
stato segnalato da alcuni amici. Avevamo bisogno, come detto,
di un ampliamento dell’azienda piemontese, quella che avevamo
non bastava più. Lui, prima di decidere se accettare l’incarico,
è venuto diverse volte a visitare la cantina: penso volesse entrare
nei meccanismi. Questo era nel 1987.
Ho avvertito in me una sensazione: lui poteva essere il mio uomo.
Ho pensato: se volevo lavorare con quest’architetto bisognava
che facessi di tutto perché lui entrasse maggiormente nel mondo
del vino, nel mio mondo. Un modo poteva essere quello di cominciare
a viaggiare assieme e andare a vedere qualche zona vinicola dove
c’erano delle cantine. Allora siamo andati nel Bordolese - che
è una zona di grande fama, di grande prestigio e dove c’è un insediamento
numerosissimo di châteaux e di cantine costruite da tempo. Loro
lavorano con la medesima mia filosofia. Adoperano solo i loro
vigneti e vinificano solo le loro uve.
Quello è stato il primo viaggio seguito da molti altri in Europa
e negli Stati Uniti, soprattutto in California dove abbiano un’azienda
che si chiama Gaja Distribuzione. Dopo tutto è stato più facile.
Per me e per lui. Era nato un grande feeling. Qui a Cà Marcanda,
ci tengo che si sappia, sulla forma architettonica dell’azienda
io non ho messo lingua. Io nell’amico architetto Bo ho una fiducia
cieca. Pensate che mia moglie a volte mi dice che sono plagiato
e qualche volte dice di essere anche un po’ gelosa del tempo che
dedico a questo architetto di 70 anni. Io sono stato fortunato,
perché ho trovato un professionista bravissimo nel suo settore,
uno a cui piace essere sobrio, vagamente monacale, con una conoscenza
straordinaria dei materiali e che non sprecherebbe mai neanche
una lira dei miei soldi perché ritiene che lo spreco del denaro
è contro la morale: io non posso far altro che ascoltarlo, aderire
al suo pensiero creativo e fidarmi di lui.
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Cà Marcanda - Foto O. Toscani
Lei si è sempre considerato un artigiano, ma che cos’è un
artigiano per Angelo Gaja?
Io vorrei essere considerato un artigiano.
Vede, l’artigiano per me è un soggetto che ha consapevolezza di
essere esperto in niente, ma conosce un po’ di tutto. Io conosco
un po’ di viticoltura perché l’ho studiata a scuola; conosco un
po’ di processi di vinificazione perché mi sono diplomato alla
scuola enologica di Alba; conosco un po’ di economia perché mi
sono laureato in Economia e Commercio all’Università di Torino;
conosco un po’ di finanza, ma non sono un esperto. Non sono un
esperto in viticoltura - ne sa molto di più il mio enotecnico
Guido Rivella che lavora a Barbaresco dal marzo 1970 - però ogni
tanto esprimo anche il mio parere. Così come so qualcosa di problemi
sindacali ma non sono un esperto, di design ma non sono un esperto,
di marketing ma non sono un esperto.
Allora il compito dell’artigiano, dell’imprenditore artigiano
è quello di andare a pizzicare per ogni funzione un esperto, cercare
di metterli assieme, fare in modo che non si ostacolino e non
si facciano guerra l’uno con l’altro, creare un’armonia e dare
degli entusiasmi, individuare una rotta, che poi può anche essere
leggermente modificata, ma che non può essere capovolta.
Parliamo del perché di questa discesa a Bolgheri
Precisiamo che Cà Marcanda non è sotto Bolgheri ma ancora in provincia
di Livorno, anche se non dista molto da Bolgheri.
In questa zona c’è una stata un’esplosione d’interesse. La fortuna
di questa terra è principalmente dovuta ad un leader, colui che
ha tracciato la strada, che ha acceso la lampadina qui in Maremma:
Mario Incisa della Rocchetta. Personaggio ambitissimo non solo
per il mondo vitivinicolo. Un esempio: pensate che nel periodo
invernale – visto il clima mite – lui per primo ha portato qui
i cavalli di razza a svernare seguito da tutti gli altri proprietari
di cavalli da corsa importanti. Un vero trascinatore.
Tornando alla domanda, la mia venuta in Toscana è datata 1994.
A Barbaresco stavamo pensando di ampliare nuovamente la cantina
perché la richiesta di prodotto era sempre più marcata. Ci siamo
detti: lasciamo stare momentaneamente Barbaresco così com’è, andiamo
in Toscana. E allora siamo arrivati a Montalcino, a Pieve S. Restituita
dove si producono ancora oggi due Brunello di Montalcino, il Rennina
e il Signorello.
Quando siamo arrivati nel 1996 a Cà Marcanda qui nella zona c’erano
160 ettari piantati: oggi sono 900. C’è stata una crescita rapida,
ma ancora più impressionante sarà la crescita in provincia di
Grosseto. Calcolano che verranno piantati nell’arco di 4 o 5 anni
vigneti nuovi che, insieme a quelli piantati 4 o 5 anni fa, porteranno
a 5.500/6.000 gli ettari vitati, con la costruzione di qualcosa
come 100/120 cantine: cosa mai successa in Italia.
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L'interno di Cà Marcanda - Foto O. Toscani
E’ stata questa tendenza ad investire in Toscana a farvi decidere
oppure c’è dell’altro? Si c’è dell’altro. Qui c’è tanto terreno
e si può comprare abbastanza facilmente – anche se io ho avuto
un po’ di problemi. Sta entrando sempre più maggiormente nella
testa di chi decide di agevolare i trasferimenti dei diritti d’impianto
e quindi certi vigneti se li togli da una parte li puoi trasferire
qui; quindi perché non andare in una zona che ha vocazione, che
si presta alle varietà internazionali senza comunque perdere rispetto
e attenzione per le varietà autoctone. Le aziende che operano
in campo internazionale hanno bisogno di confrontarsi con un gusto
che sul mercato internazionale è già conosciuto, è già affermato;
le varietà a base Chardonnay, Cabernet e Merlot possono essere
vantaggiose dal punto di vista commerciale.
Oggi siamo in una impasse nella vendita del vino italiano
pregiato. Impasse a detta di molti dovuto al costo eccessivo del
prodotto di qualità al consumo. Cosa ne pensa Angelo Gaja
Colpa del costo eccessivo? Forse.
Comunque per me le ragioni sono da ricercare altrove. Stiamo passando
un momento tormentato, le ragioni le sappiamo tutte.
Manca la fiducia, si sogna di meno.
Nelle analisi, poi, non viene ripetuta questa ragione che secondo
me ha molto peso.
Questa ragione è la bolla speculativa che è scoppiata in borsa
e che ha colpito tutti, in tutto il mondo. Tutti noi avevamo della
disponibilità di cassa fino a 10 anni fa e le banche ci davano
degli interessi. Poi a un certo punto hanno deciso di non darli
più. Ed ecco il boom azionario, che è stato solo una grande bolla
speculativa. Gonfiava, gonfiava. Qualsiasi titolo compravi il
giorno dopo valeva di più. Non solo Cirio e Parmalat sono stati
le cause della rovina. Molti per guadagnare di più hanno comprato
i Bot dell’Argentina. Risultato: ripuliti tutti. Quei soldi, nella
maggioranza dei casi, non servivano per mangiare. Però erano i
soldi che ti eri costruito per una vecchiaia decorosa, erano investimenti
di capitali. Erano i soldi per andare al ristorante e bere, magari,
bottiglie di valore.
Ecco la causa è solo questa: non ci sono più i soldi per i vizi.
Vizi o piacere?
I vizi enogastronomici, vizi moderati naturalmente, sono il massimo
dei piaceri.
Ritorniamo a Cà Marcanda. Perché la scelta, dopo Montalcino,
è caduta nuovamente nel Gran Ducato?
La
scelta è arrivata dopo l’annata del ’91, del ‘92 e del ‘93: annate
disastrose come lei ben ricorderà. Disastrose per effetto degli
eventi climatici.
Eravamo indecisi se acquistare una tenuta a Gavi, ma poi ho pensato
di andare nuovamente verso terre dove c’è quasi sempre il bel
tempo. Abbiamo così nuovamente optato per il bel tempo stabile:
la Toscana.
E poi, è cambiato l’aspetto climatico in Piemonte. Chi avrebbe
mai pensato che sarebbe arrivata quell’ondata di clima californiano
con annate come il 1995, 1996, 1997, 1998, 1999, 2000 e 2001 mai
viste nella storia? Non si ricordano annate simili consecutive
nemmeno andando indietro nei secoli.
Barrique di Cà Marcanda - Foto O. Toscani
Sono dell’idea che ad un certo punto della nostra vita, dopo
aver superato i 50 anni, c’è la necessità di guardarci indietro.
Angelo Gaja prova emozione nel ripercorrere il passato?
Sono abbastanza portato a guardare avanti, perché mi sembra che
avanti ci sia sempre un sogno da realizzare. Il mio passato è
il Piemonte, le mie radici, la mia storia, la mia famiglia, il
patrimonio delle conoscenze acquisite. L’aver distillato gli insegnamenti
di mio padre. I miei ricordi dell’infanzia.
La prima volta che mi sono avvicinato a un bicchiere di vino....
penso di ricordarlo ancora, ero a tavola, avevo 6 anni, e mio
padre mi mette - credo mangiassimo carne con patate e la condizione
era che per mangiare le patate, di cui ero ghiotto, dovevo mangiare
prima la carne - una goccia di vino nel bicchiere. Io l’ho portato
al naso e mi ricordo di non aver sentito un bel niente.
Ma...chissà. Forse proprio in quel momento qualcosa cambiava nel
mio dna. Poi, quando l’ho messo in bocca... uno schifo, l’ho quasi
sputato perché io non mi aspettavo un sapore tannico o un’acidità
così, io mi aspettavo qualcosa di dolce e di piacevolmente avvolgente.
Ci sono voluti molti anni per apprezzare questo nettare della
natura. Mio papà mi metteva sempre una goccia nel bicchiere e
io la lasciavo lì, fino a quando sono arrivato a 15/16 anni e
ho cominciato a sorseggiare il vino mangiando. Anche quell’abitudine
del vino a tavola e mai bevuto fuori pasto è un lascito del mio
passato – io non bevo alcolici fuori pasto e sono abbastanza limitato
sulle bevande alcoliche in generale, bevo solo un bicchiere di
vino secco e principalmente rosso a pranzo e cena. Questo è frutto
dell’educazione ricevuta da mio padre, di quei valori di sobrietà
che con difficoltà ora racconto. Le virtù non vanno mai esibite.
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Angelo Gaja con la famiglia - Foto O. Toscani
Lei ha una grande responsabilità: rappresenta il vino italiano
nel mondo - Angelo Gaja uomo di successo
Io sono arrivato in azienda quando mio padre, il geom. Gaja, era
già leader in Italia. Papà allora produceva 60 mila bottiglie
ed aveva affermato il suo modo di fare vino. Il fatto di arrivare
in azienda rispetto ai colleghi che hanno cominciato tutto da
soli – mi vengono in mente i Ceretto e molti altri - mi ha agevolato:
io sono partito già con le pantofole calde nei piedi.
Diciamo che le ciabatte erano calde, ma non erano ancora fuori
dall’uscio. Mi pare che dagli anni ’60, anni che coincidono con
il suo ingresso in azienda, lei ha dato una svolta decisiva alla
politica aziendale
Ho beneficiato del momento, ho vissuto i 30 anni più straordinari
della storia del vino.
Altri grandi ambasciatori del vino italiano nel mondo?
Molti. Vorrei parlare però, se mi permette, di un amico a cui
tutti noi dobbiamo riconoscenza: Giacomo Bologna di Rocchetta
Tanaro.
E' stato uno che ha saputo creare complicità. Un uomo meraviglioso.
Le simpatie, le amicizie le faceva nascere a tavola. Metteva insieme
gli umili con i potenti. I mediocri con le menti straordinarie.
Si creavano delle complicità e lui le gestiva. Ha avuto anche
lui la fortuna, come me, di trovare una moglie con i fiocchi.
Anna Bologna, sua moglie, l’ha sempre sostenuto, l’ha sempre aiutato.
Quando lui tornava dal suo girovagare per il mondo, lei era pronta
ad accoglierlo a braccia aperte. Giacomo ci manca e la sua prematura
morte è stata un grave danno per il mondo del vino.
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Parliamo di Gaja e del suo rispetto per la dignità del vino
Questo insegnamento di rispettare la dignità del vino è un insegnamento
che viene da mio padre che lo faceva già. Un insegnamento faticoso.
Per perdere la vendemmia ci sono mezzi diversi. C’è la grandinata
che arriva nel campo, fulminante e in un attimo sei fregato. C’è
poi una malattia, un po’ più lenta ma sempre breve, che sono 10
giorni di pioggia consecutivi prima della vendemmia come è successo
nel 1992.
Poi ci sono annate come il ‘91 e il ’94. Annate difficili che
non arrivano alla decenza. Hai una massa di vino che tieni in
cantina, la segui nel processo di evoluzione, invecchiamento e
maturazione. Speri ardentemente che riesca, il nebbiolo, a fare
il miracolo. Poi però passa un anno e mezzo e vedi che il recupero
non c’è stato. In quel preciso momento entra in gioco il rispetto
per il vino. Devi aver coraggio. Allora decidi di buttare via
tutto e ti accorgi che ti sei tolto un peso, che la sofferenza
è finita e che, finalmente, ti puoi concentrare su altro. Ebbene
questo è il rispetto per il vino.
Barbaresco è la moglie. Cà Marcanda è solo l’amante o qualcosa
di più?
Non so se diventerà la moglie, però io a questo progetto credo.
Probabilmente mi ha ringiovanito di almeno 10 anni perché mi ha
dato degli stimoli nuovi. E poi a casa – dice sorridendo
- sono tutti contenti perché così ogni mi tolgo un po’ dai piedi.
Però se dico Piemonte le brillano gli occhi
Il mio cuore rimane là, in Piemonte. Resisto a mettere una casa
qua perché mi mette un po’ a disagio abbandonare la mia terra.
Gaja non ama i giornalisti come non ama mettersi in mostra
alle grandi manifestazioni. Quando la vedremo di nuovo ufficialmente
in qualche manifestazione con un proprio spazio?
Ormai gli spazi nelle Fiere vengono utilizzati solo come momento
di mescita del vino.
Non sono così convinto di questi avvenimenti. Non dico che non
siano utili, ma negli ultimi anni ho avuto l’impressione che sia
diventati ingovernabili. C’era sempre la ressa di appassionati
al nostro stand, di gente che non conoscevamo. Trascuravamo i
nostri ristoratori, i nostri clienti abituali. Si arrabbiavano.
Era diventata una cosa un po’ delicata.
Entriamo nelle vigne e nella cantina di Cà Marcanda. Quanti
quintali di produzione per ettaro?
60. Quest’anno sono di più, perché nonostante il diradamento che
abbiamo fatto, dopo ha piovuto e le uve sono gonfiate. Abbiamo
tagliato il 50% e l’uva ha recuperato il 20.
Ettari di vigneto?
Abbiamo 100 ettari di vigneto.
La produzione annuale di bottiglie
La produzione di quest’anno credo si avvicini alle 350 mila bottiglie
e arriveremo gradualmente a 500/550 mila bottiglie nell’arco dei
prossimi 4 anni. Sempre nelle tipologie Promis, Magari e Camarcanda.
Parliamo del Promis
E’ un vino dal carattere solare con un ottimo riscontro nei ristoranti
della quotidianità.
Tre varietà concorrono in questo vino: 55% di Merlot, 35 % di
Syrah e il rimanente di Sangiovese. E’ un vino godibile ed elegante.
Un vino che mi sta dando soddisfazioni.
del Magari
E’ stato scelto un nome che ha in sé un pizzico di spensieratezza,
di allegria: un vino da compagnia.
Il 50 % di Merlot e la differenza in parti uguali di Cabernet
Sauvignon e Cabernet Franc conferiscono a questo prodotto tutta
l’espressione dell’alta Maremma, dove il Merlot esprime il frutto
lussureggiante e il Cabernet evidenzia i sentori più ricchi.
concludiamo con il Camarcanda
Ho voluto dare a questo vino il nome della mia nuova cantina.
In questo abbiamo cambiato le percentuali di varietà : sempre
il 50 % di Merlot mentre il Cabernet Sauvignon arriva al 40% e
il Cabernet Franc completa per differenza. Questo vino ha una
struttura solida. In bocca è pieno, con espressioni di carattere
minerale. E poi il finale: lungo, intenso con tannini setosi.
Un grande vino.
Eccoci alla fine di questa lunga intervista. Cosa posso ancora
dirle: grazie per la sua disponibilità e per l’onore di avermi
concesso di intervistarla dopo tanti anni di silenzio davanti
ad un taccuino.
Per me è stato un piacere.
Se mi permette, vorrei esprimere un desiderio in questo brindisi
finale. Il desiderio è quello di potervi far provare sempre forti
emozioni mentre degustate uno dei mie vini. Questa per me è la
più grande felicità.
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